Trump-Zelensky, la linea di Melonialla prova dei fatti

Trump-Zelensky, la linea di Melonialla prova dei fatti

È sempre più complessa la posizione di Meloni sull’Ucraina. Ora che Trump parla di Zelensky come di un «dittatore», il bivio diventa molto stretto e sarà difficile costruirci un ponte. Soprattutto per chi come la premier lo ha incontrato svariate volte, con abbracci a favore di telecamere, usando parole molto nette su di lui e sulla sua guerra contro Putin. «Obiettivo del nostro sostegno è mettere l’Ucraina nelle migliori condizioni per un tavolo di pace che non sia una resa, come vigliaccamente alcuni suggeriscono». Così diceva pochi mesi fa, a ottobre, a Palazzo Chigi accogliendo quello che Trump ora definisce un «dittatore». E proprio ieri la risposta di Kiev al presidente Usa sembrava quella della premier. «Nessuno può costringere l’Ucraina alla resa».

E dunque, al di là delle dichiarazioni o del silenzio, per Meloni si avvicina la prova dei fatti nella scelta Trump-Zelensky che, in realtà, non si dovrebbe nemmeno porre vista la linea italiana di questi ultimi anni. Certo, manca un ancoraggio europeo e si aspettano con ansia le elezioni in Germania. Da domenica il quadro sarà più completo, però se i sondaggi troveranno riscontro nelle urne con l’Afd secondo partito – quotato oltre il 20% – ci si interroga su quali saranno le risposte di Berlino. E intanto l’Italia che fa? Rumors raccontano che Meloni si prepara ad andare a Washington (a Palazzo Chigi smentiscono) ma la scelta pro-Kiev di Mattarella ha finora trovato l’appoggio della premier che ha difeso il capo dello Stato contro gli attacchi russi. Anche a quello servivano, a verificare le posizioni in campo della politica italiana. In effetti, non è stata una verifica inutile perché i distinguo sono arrivati, con Salvini rimasto silente a conferma che un varco c’è.

Ed è un varco scivoloso. A volerci guardare dentro, qualcosina si è già infilata: per esempio, il voto di ieri della maggioranza su un ordine del giorno che consente l’export di alcune merci in Russia e Bielorussia. La notizia è stata rilanciata dal senatore Pd Sensi ed è – sì – un fatto circoscritto ma di questi tempi diventa un segnale. Lo è anche l’intervista di Marina Berlusconi che parla di «bullismo politico» di Trump mentre Salvini le fa il controcanto chiedendo per il presidente Usa il Nobel per la pace. Insomma, la parte difficile per Meloni è certamente conciliare la sua linea su Kiev con un “prima e dopo Trump”, ma anche la coesione interna è un passaggio che l’aspetta. Soprattutto se il leader leghista comincia a entrare nelle grazie di Andrea Stroppa, factotum di Musk in Italia, che pubblica un post – poi rimosso – in cui lo promuove al Viminale.

Fonte: Il Sole 24 Ore