Tumore al seno, cure d’avanguardia paladine delle donne

Cade il tabù sul tumore al seno metastatico. «Si sta utilizzando molto il termine ‘metastabile’ per indicare una malattia che viene controllata nel tempo invece che ‘metastatica’, che aveva una caratterizzazione estremamente negativa». Lo ha detto il professor Paolo Marchetti, presidente della Fondazione per la medicina personalizzata, nel corso del secondo video forum al Sole 24 Ore dedicato al mese della prevenzione del tumore al seno nel quale si è parlato delle nuove cure e dei percorsi terapeutici a disposizione. In collegamento anche il professor Giuseppe Curigliano, direttore Sviluppo nuovi farmaci per terapie innovative dello Ieo (Istituto europeo di oncologia) e presidente dell’Esmo per il biennio 2027-2028 e la professoressa Rossana Berardi, docente ordinario di oncologia all’Università politecnica delle Marche, direttrice della clinica oncologica dell’Azienda ospedaliera universitaria delle Marche.

Sulle terapie innovazione galoppante

Sulle terapie l’innovazione è galoppante, mentre l’attuazione dei percorsi disegnati da ultimo dal piano oncologico nazionale 2023-2027 è ancora in progress. «Dobbiamo sottolineare – prosegue Marchetti – come nel nostro Paese, ma anche in moltissimi centri, un Percorso diagnostico terapeutico-assistenziale dedicato alle pazienti in fase metastatica di malattia ancora non c’è e come molto spesso la decisione venga assunta unicamente dall’oncologo». Cruciale, invece, arrivare a una integrazione olistica, che «significa tener conto nelle nostre pazienti anche di un effetto collaterale pure se modesto, che un tempo veniva tollerato perché le terapie purtroppo avevano un’efficacia di qualche mese. Per questo ci sono i cosiddetti Proms (Patient-Reported Outcome Measures), cioè gli effetti collaterali non classificati dall’oncologo ma riportati dalla paziente: abbiamo la necessità di integrare le conoscenze sull’attività fisica, sull’alimentazione, sullo stato nutrizionale, sul supporto emotivo delle nostre pazienti nelle fasi più avanzate della malattia. Perché tutti questi fattori comportano vantaggi in termini di mesi di vita in più. Ricordiamo che un percorso organizzato nella malattia metastatica si traduce in un vantaggio di sei-otto mesi di sopravvivenza solamente grazie a un percorso integrato».

Anticorpi coniugati al posto della chemioterapia

Dai percorsi terapeutici alle innovazioni cliniche. Il futuro? «Sicuramente sarà nella progressiva sostituzione degli anticorpi coniugati alla chemioterapia e verranno combinati anche all’immunoterapia – spiega il professor Curigliano -. E non dimentichiamoci che un’altra categoria di farmaci che ha cambiato la pratica clinica è l’immunoterapia in particolare il pembrolizumab che nel setting preoperatorio non solo ha aumentato la percentuale di risposta completa nei tumori triplo negativi, ma ha migliorato la sopravvivenza in setting precoce». «Penso che la categoria di farmaci più disruptive sono sicuramente gli anticorpi coniugati. Dopo anni di studi, soprattutto nella malattia metastatica, dove non era stato possibile dimostrare un beneficio in termini di sopravvivenza, queste classi di farmaci sono riuscite in maniera chiara e inequivocabile a impattare sulla percentuale di risposte, sul controllo del tempo di progressione e sulla sopravvivenza di queste pazienti metastatiche».

Ci sono 300 anticorpi coniugati in fase di sperimentazione

Curigliano cita in particolare due classi di anticorpi coniugati. «La prima categoria è quella degli anticorpi coniugati anti Trop2, la seconda sono gli anticorpi coniugati anti Her2. Sicuramente il più significativo di questi è il trastuzumab deruxtecan che ha comportato un aumento della sopravvivenza libera da progressione di 28,8 mesi. Un vantaggio sostanziale che ha impattato in maniera storica. Posso anticipare – annuncia Curigliano – che questa sarà la prima linea di trattamento: questi farmaci hanno cambiato la pratica clinica, ma molto vedremo ancora nel futuro, perché ci sono almeno 300 anticorpi coniugati in fase di sperimentazione, di cui alcuni anche nel tumore mammario».

Portare l’innovazione più appropriata a ogni paziente

La sfida da vincere è anche quella di portare l’innovazione più appropriata a ogni paziente. «Due sono le parole chiave – avvisa la professoressa Berardi – : coordinamento tra i vari specialisti nella scelta delle opzioni terapeutiche nell’ambito del percorso della paziente e tempestività, perché la rapidità di una diagnosi precisa, di un accesso alle cure e nel personalizzare il trattamento anche attraverso l’analisi del profilo biomolecolare della donna rappresenta indubbiamente un percorso di valore. Inoltre è fondamentale monitorarlo, il percorso attuato con le Breast Unit, anche attraverso un’attività di audit che lo certifichi e verifichi l’esistenza di aree di miglioramento. Un altro aspetto – prosegue – è legato all’interazione con il territorio, che è diventato un elemento importante specialmente per le donne che fanno terapia orale per lungo tempo e quindi necessitano meno di essere medicalizzate. O che magari sono seguite in un ospedale ad alta intensità di cura ma potrebbero essere in parte gestite nell’ambito di un percorso coordinato anche in strutture più vicine al domicilio. Possiamo immaginare una presa in carico più diffusa e delocalizzata per alcune specifiche prestazioni. Penso per esempio al follow up ovvero al monitoraggio della paziente dopo il percorso chirurgico o terapeutico iniziale sono senz’altro degli aspetti che potrebbero dare un ulteriore valore ad una eccellente Breast Unit».

Fonte: Il Sole 24 Ore