Turnisti part time, nodi organizzativi con l’indicazione degli orari nei contratti

È destinata a creare più di qualche problema sul fronte organizzativo, ma non solo, alle aziende di numerose settori, a partire da quello del retail, l’ordinanza della Corte di cassazione 11333/2024 del 29 aprile scorso in cui si stabilisce che anche nei contratti part-time organizzati in turni va indicato in modo esplicito, per ciascun turno la durata della prestazione, la collocazione temporale dell’orario lavorativo rispetto al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Nel caso sottoposto al sindacato dei giudici di legittimità, invece, l’impresa convenuta in giudizio aveva, invece, fatto rinvio a una comunicazione annuale per la specifica indicazione dei turni effettivi assegnati sulla base del programma annuale aziendale.

Alla base della sua scelta, la Cassazione richiama i principi indicati dalla Corte costituzionale nella sentenza 210/1992, per quanto essi riguardino una norma abrogata (articolo 5, comma 2, della legge 863/1984). Secondo la Consulta, una diversa interpretazione dell’organizzazione del lavoro a turni per i part-time confliggerebbe con l’articolo 36 della Costituzione perché un’imposizione unilaterale rende impossibile al lavoratore assumere e programmare altre occupazioni per percepire, con più rapporti a tempo parziale, una retribuzione complessiva sufficiente a realizzare un’esistenza libera e dignitosa. Inoltre, confliggerebbe con l’articolo 38 della Costituzione perché, in caso di impossibilità di reperimento di una nuova occupazione, danneggerebbe la posizione pensionistica del lavoratore.

L’ordinanza apre uno scenario d’incertezza soprattutto per quanto concerne i rapporti già in essere. Se per il futuro, infatti, i giudici devono ricercare un equilibrio tra le esigenze dei lavoratori e quelle delle imprese, per i periodi pregressi, in base al meccanismo sanzionatorio previsto nell’articolo 10, secondo comma, del Dlgs 81/2015, il lavoratore ha diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta per le prestazioni effettivamente rese, a un’ulteriore somma a titolo di risarcimento del danno. E su quest’ultimo punto sono state diverse le previsioni delle Corti di merito, che in alcuni casi hanno fissato il risarcimento nel 5% della retribuzione lorda, ma in altri casi (isolati) si sono spinte fino al 30 per cento. Secondo le Corti, inoltre, il danno per il lavoratore sarebbe in re ipsa e quindi non soggetto a onere probatorio.

L’ordinanza / Corte di Cassazione – Ordinanza 11333/2024

Fonte: Il Sole 24 Ore