
Un Giulio Cesare di Händel vitale e ironico
D’intorno sono sparsi una serie di frammenti, resti di un glorioso passato, e in mezzo una misteriosa figura velata cinge una corona d’alloro; a calzarsela sul capo è Giulio Cesare. Quelle schegge alla fine comporranno, in scena, il suo volto monumentale.
Glorie e caducità umane, mosse dai fili del destino, si rincorrono nella storia degli uomini. Il Giulio Cesare di Händel nel nuovo spettacolo firmato da Chiara Muti (nato al Teatro Alighieri di Ravenna e dato a Modena, Piacenza, Reggio Emilia, Bolzano) è approdato anche al Teatro del Giglio Puccini di Lucca, che prosegue così il meritorio percorso di valorizzazione dell’opera barocca intrapreso con il successo del Tamerlano di Vivaldi.
Allestimento essenziale, simbolico ed evocativo, grazie alle scene di Alessandro Camera, ai costumi dall’elegante taglio moderno di Tommaso Lagattolla, alle luci calzanti di Vincent Longuemare. Chiara Muti ha il merito, con la sua regia, di fare teatro, nel vero senso della parola; scongiura il pericolo di una monumentalità alla quale potrebbe portare il susseguirsi schematico di recitativi e arie (tipico nell’opera seria di quegli anni), per sostituirlo con una continua vitalità, di segno appunto teatrale: nel rapporto, anche ambiguo, fra i personaggi, nelle continue e spesso assennate trovate (si esagera con i passi danzati, poetica è invece la citazione dal Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, a ricreare l’incanto di quando Cleopatra seduce Cesare) e anche ricorrendo a un’ironia che fa da pendant alla dimensione tutta seria della vicenda. Tolomeo è un capriccioso, sbeffeggiato dai suoi servi, e quando riceve Cesare gli imbandisce pietanze che esalano vistosi vapori venefici. È lo sguardo distaccato di oggi rivolto a quel Settecento celebrativo e parruccone.
Direzione di Ottavio Dantone
Le tre ore e più di questo Giulio Cesare (pur sforbiciato) trascorrono senza ampollosità barocche, anche perché lo spettacolo segue il passo scorrevole e assai ben articolato della direzione di Ottavio Dantone, che alla testa della sua Accademia Bizantina ottiene trasparenza e dettagli. Marie Lys (Cleopatra) ha voce ben levigata e che corre con naturalezza, Davide Giangregorio (Achilla) è interprete autorevole, Dalphine Galou (Cornelia) si distingue più che altro per doti nella recitazione. Ben quattro i controtenori schierati in campo: Raffaele Pe è un Giulio Cesare dalla musicalità accattivante ma talvolta opaco nelle agilità, Filippo Mineccia realizza, con sicurezza e verve istrionica, un Tolomeo isterico, Andrea Gavagnin è un Nireno affidabile. Ma da tenere d’occhio è Federico Florio: il suo Sesto beneficia di una tecnica impeccabile, di un timbro luminoso e senza incrinature, di lucida morbidezza d’accenti.
Händel, Giulio Cesare, Accademia Bizantina, Ottavio Dantone
Fonte: Il Sole 24 Ore