Un piccolo epistolario “per stare al mondo”

Un piccolo epistolario “per stare al mondo”

Un piccolo epistolario

L’azzardo della poesia, appena pubblicato dalla casa editrice Bordeaux sotto la cura affettuosa e appassionata di Tommaso Di Francesco e Alberto Olivetti (144 pp., € 14), raccoglie nove lettere fra Pietro Ingrao e Attilio Lolini dal giugno al novembre del 2000. “Un piccolo epistolario”, lo definiscono i due curatori nell’introduzione. Ma “piccolo” solo nel senso della misura: solo nove lettere, si è detto, nell’arco di pochi mesi.

Pietro Ingrao

Nella sostanza, al di là del dato formale, non è piccolo per niente questo epistolario. E non lo è, in primo luogo, già solo per la statura dei due corrispondenti. Pietro Ingrao, da una parte – e non avrebbe bisogno di presentazioni: uno dei più importanti dirigenti comunisti del dopoguerra, direttore dell’Unità per dieci anni, Presidente della Camera dei Deputati per tre (alla fine degli anni settanta). Ottantacinquenne, all’epoca dell’epistolario, e ormai ritiratosi dalla vita politica attiva: “una figura storica del movimento operaio e comunista che, da protagonista e punto di riferimento a sinistra in un lungo e faticoso periodo della storia italiana, è però via via diventato una voce inascoltata, un profeta disarmato ormai quasi in solitudine” (sono di nuovo parole dei curatori).

Attilio Lolini

Attilio Lolini, dall’altra parte: un poeta “la cui statura”, ha scritto altrove un critico raffinatissimo quale Massimo Raffaeli, “è allora inversamente proporzionale alla notorietà”. Lolini ha poco più di sessant’anni, nel 2000, e vive appartato insieme alla moglie Loredana Montomoli in un piccolo paese a pochi chilometri da Siena, San Rocco a Pilli. Sono appartati, Lolini e sua moglie, ma al tempo stesso in contatto con alcune delle migliori intelligenze del loro tempo: da Romano Bilenchi a Mario Luzi, da Edmond Jabès ad Andrea Zanzotto (solo per fare qualche nome). E pochi anni più tardi la statura poetica di Lolini avrebbe ricevuto anche una consacrazione ufficiale, nella collana bianca dell’Einaudi. Ingrao sarebbe morto nel 2015, Lolini nel 2017; e l’anno scorso è morta anche Loredana Montomoli.

Il contenuto delle lettere: la poesia, nella sua radice di senso

Ma l’epistolario fra Ingrao e Lolini è tutt’altro che “piccolo” anche per un altro motivo, e cioè per il contenuto delle lettere scambiate. Per quanto brevi o brevissime, sono lettere nelle quali sia Ingrao che Lolini appaiono perfettamente all’altezza di sé stessi. È da poeta a poeta che si parlano, perché in effetti poeta non lo è solo Lolini ma anche Ingrao. Lo è da sempre, fin da quando era un ragazzo (e dei suoi versi si era accorto nientemeno che Ungaretti), anche se solo a partire dagli anni ottanta avrebbe dato alle stampe delle raccolte. Per lui, come scrive in una lettera, la poesia è un “azzardo”: e si riferisce all’età, ma sembra tradire un’insicurezza più profonda. In un’altra lettera si definisce addirittura “un poeta di contrabbando”. In ogni caso è proprio la poesia l’oggetto esclusivo dei discorsi, qui, in questo epistolario: la poesia nel suo significato radicale, nella sua radice di senso.

Per entrambi, si capisce, la poesia rappresenta molto di più che non una semplice forma espressiva. Rappresenta un modo di stare nel mondo: per cercare di comprenderlo e, al tempo stesso, di darsi una direzione. La poesia, in altri temini, non viene intesa da Ingrao e Lolini come puro elemento estetico: viene messa, piuttosto, al cospetto del reale, della realtà. Assume a sua volta, potremmo dire, un valore politico tout court, nell’accezione più ampia della parola. E lo mettono in luce benissimo anche gli stessi Di Francesco e Olivetti nei loro interventi pubblicati in appendice (insieme a quelli di Gianni D’Elia, Biancamaria Frabotta, Daniele De Amicis e Antonio Prete). Come quando Olivetti osserva, ad esempio, che ciò che sembra muovere Ingrao è il tentativo di perseguire “una conoscenza dell’epoca elaborandola nelle forme della ragione poetica”, “oltre le strettoie del pensiero e della prassi dei comunismi del Novecento”; o come quando Di Francesco sottolinea, in relazione a Lolini, che “i suoi versi e la sua instancabile attività per la poesia era qualcosa di più e di diverso dalla letteratura”, “situavano con lui l’azione della scrittura poetica nel tempo”.

Fonte: Il Sole 24 Ore