Una favola sulla violenza della realtà
In «uno di quei paesi che non conoscono mai tregua né respiro» nasce Sogno, una bambina bellissima. I suoi genitori sono uccisi dai soldati quando è ancora molto piccola. La prende in custodia la nonna paterna, che la nasconde: la bellezza è un pericolo, specialmente in quel luogo, specialmente se è una ragazza a possederla. «L’occhio malvagio dei soldati vigliacchi scivola sulla bruttezza per posarsi solo sulla bellezza, e mieterla all’istante».
La nonna la nasconde in mezzo «a una città tirata su alla bell’e meglio, un incubo di plastica raggrinzita, lamiera a brandelli e cartoni ammuffiti. Una città scura del fumo delle immondizie». La nasconde in una baracca ricoprendola di stracci, sporcizia e miseria. Può uscire solo la notte, per cercare cibo nella spazzatura.
Sogno diventa grande e la nonna, divorata dalla fame, comincia a chiedersi se ama ancora la nipote, se darle i due anelli d’oro dei genitori che aveva celato alla loro morte, o piuttosto tenerli per sé. Inizia a sospettare di lei, a pensare che non le porti abbastanza cibo, a vedere in lei una nemica. Intanto la notte, in cima a un cumulo di resti della discarica, Sogno scruta «il mare scuro sotto un cielo spento, l’orizzonte invisibile che inghiotte la schiuma». Desidera solo scappare e rivelare la sua bellezza agli occhi del mondo.
Dopo il capolavoro Fratelli d’anima (Neri Pozza, 2021), e il bel romanzo La porta del non ritorno (Neri Pozza, 2023), lo scrittore senegalese e francese David Diop ha pubblicato una splendida, breve favola sulla violenza del potere, della ricchezza, sulla «miseria che stritola ogni slancio di generosità», sulla tragedia di chi deve nascondere la bellezza e di chi non può disporne: Il paese di Sogno. «Un racconto iniziatico sull’ingiustizia del mondo», recita il sottotitolo. Una favola formatasi nella mente dell’autore dopo aver incontrato alcune «giovani persone», minorenni, che hanno attraversato l’Africa e il Mediterraneo da sole, su imbarcazioni malcerte. E che risuona di tanti echi – ricorda ad esempio Finale di partita, di Samuel Beckett, per potenza allegorica e inclemenza dello sguardo – e si colora di innumeri significati che poi convergono a formare un’immagine quanto mai realistica, profonda e sfaccettata della nostra realtà e della realtà della miseria.
Un racconto costruito tramite corti capitoli, brevi paragrafi, frasi semplici, immagini nitidissime, in una lingua fortemente evocativa. Una favola nerissima piena di luce, capace di sorprendere con un finale che, senza compromettere la lucidità dell’analisi e senza sminuire la veemenza della denuncia, apre a una maggiore comprensione del mondo, che porta con sé la possibilità di un futuro diverso.
Fonte: Il Sole 24 Ore