Una mamma su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio

Una mamma su cinque lascia il lavoro dopo il primo figlio

Crolla, con la nascita del primo figlio, il tasso di occupazione delle donne. Un fenomeno che avviene più al Sud e più per le meno istruite. Una su cinque smette di lavorare, come conferma il rapporto del 2024 ‘Equilibriste’ di Save The Children citando dati Inapp. Tra le cause ci sono il mancato rinnovo del contratto, il licenziamento, le dimissioni legate soprattutto a esigenze di conciliazione tra vita e lavoro e per considerazioni di carattere economico. Se lo stipendio, cioè, non basta per pagare la babysitter, ecco che la scelta è quasi inevitabile.

La buona notizia, leggendo i recenti dati sull’occupazione rilasciati dall’Istat, è che l’occupazione femminile, seppur lentamente, continua a crescere, con un tasso che sale di 0,2 punti percentuali a marzo scorso rispetto al mese precedente. Quella cattiva è che il tasso di occupazione per le donne tra i 15 e i 64 anni è al 53%, secondo il dato provvisorio del marzo scorso. In pratica solo circa una donna su due ha un lavoro in Italia, una percentuale ancora molto al di sotto del 71% degli uomini e del 70% circa della media europea femminile. Ad abbassare la media sono proprio le donne con figli. Lo dimostrano i numeri: il tasso di occupazione delle 25-49enni, nel 2022, secondo l’ultimo rapporto annuale Istat, è all’80,7% per le donne che vivono da sole, scende al 74,9% per quelle che vivono in coppia senza figli, al 58,3% per le madri.

Laureate

L’istruzione rappresenta una forma di protezione per donne che hanno un figlio. Per le laureate, infatti, il tasso di occupazione è superiore al 70% indipendentemente dal ruolo svolto in famiglia. Il quadro, inoltre, diventa maggiormente eterogeno a seconda dell’area geografica. Il minimo del tasso di occupazione, sempre per le donne di 25-49 anni, è il 21,4% delle madri del Mezzogiorno con basso titolo di studio. «Le donne che vivono da sole – commenta Sabrina Patri, direttrice centrale dell’Istat – hanno tassi di occupazione nettamente più alti rispetto al resto delle donne; nel Centro-Nord questi livelli di occupazione sono paragonabili a quelli degli uomini nelle stesse condizioni e agli altri Paesi europei. Diversamente, le donne che vivono in coppia hanno tassi più bassi, che crollano con nascita del figlio. Succede, in particolare, dove il mercato del lavoro è più difficile, cioè nel Mezzogiorno».

Le dimissioni

Il rapporto di Save the Children, che mette assieme vari indicatori, conferma il trend. In Italia nel 2022, secondo la relazione dell’Ispettorato nazionale del lavoro, si contano 44.699 dimissioni di donne, il 72,8% dei neogenitori totali. Nel 2023 si è arrivati a un nuovo minimo storico delle nascite in Italia, ormai stabilmente ferme sotto le 400mila unità, con un calo del 3,6% e tra le donne dai 15 ai 49 anni il numero medio di figli è di 1,20, in flessione rispetto all’anno precedente quando si attestava a 1,24. I dati, dicono Monica D’Ascenzo e Manuela Perrone nel libro ‘Mamme d’Italia’ edito dal Sole 24 Ore, raccontano un Paese dove «le madri sono sempre meno, ma sono sempre troppo poche le donne che lavorano nel confronto con gli uomini e con gli altri Paesi europei, a riprova del fatto che fare meno figli non aiuta le donne a lavorare di più. Anzi. Nella maggior parte degli Stati Ue le madri con tre figli lavorano più delle italiane con un figlio».

Le disparità geografiche

Per un reale cambio di passo servono, dunque, gli strumenti adatti, come potenziare i servizi per la prima infanzia, carenti soprattutto al Sud; ribilanciare i carichi di cura, oggi in capo soprattutto alle donne; accelerare con le politiche di sostegno alla genitorialità e lavorare sui fattori culturali. Per fare un esempio, il congedo obbligatorio di paternità andrebbe esteso come nelle best practice europee mentre al momento è fermo a 10 giorni e solo 6 uomini aventi diritto su 10 lo usano. È uno strumento, quest’ultimo che gioverebbe a una più equa distribuzione della cura e a una migliore conciliazione tra vita e lavoro.

Fonte: Il Sole 24 Ore