Una politica fiscale che spinga gli investimenti
C’è molta preoccupazione in Europa per i dazi (“graduali” o no) che la politica commerciale di Trump potrebbe imporre sull’industria, una volta firmati gli ordini esecutivi nei primi giorni della nuova Amministrazione. Così come c’è gran dibattito sull’opportunità o meno che i nostri sistemi di difesa si avvalgano della rete satellitare Starlink di Elon Musk. Sembra quasi che l’impasse e le difficoltà europee dipendano dal potere americano e dalle modalità con le quali i nuovi leader statunitensi si apprestano ad esercitarlo. Le statistiche su produzione industriale e investimenti in Italia e nei paesi vicini raccontano tuttavia una storia diversa: di un calo dei volumi manifatturieri in Italia che prosegue da quasi due anni nonostante il modesto rimbalzo congiunturale di novembre scorso; e di un’Europa che sta si avvolgendo in una spirale di recessione manifatturiera, anche se il valore aggiunto nell’industria è cresciuto seppur debolmente nell’anno passato a fronte della caduta della produzione. Con il complesso industriale tedesco in panne e con una crisi di fiducia che fa oggi del nostro continente un luogo non particolarmente attraente per gli investimenti, per usare un eufemismo.
Come sempre, alcuni settori tengono meglio di altri e vi sono comparti in espansione (in Italia, l’alimentare e gli apparati elettrici), ma l’industria continentale tutta soffre in gran parte per le scelte (o non-scelte) strategiche della politica europea, remote e recenti. I tassi di interesse reali sono tuttora elevati; l’incertezza tecnologica su alcune direzioni di medio e lungo termine non viene sciolta (leggi, ad esempio, revisione del Green Deal ancora in corso, ma non solo); non si intraprende un nuovo progetto di politica industriale europea accompagnato da certezze su tempi e risorse comunitarie. In un contesto simile, gli investimenti si rimandano e ne risente di conseguenza la meccanica strumentale che in Italia e Germania ha due grandi basi produttive.
La domanda dei consumatori europei si è andata orientando più verso i servizi che verso i beni nel biennio dopo la pandemia, e anche comprensibilmente. Trasporti, turismo, servizi per la casa e la persona. Con il parallelo aumento dei prezzi dei servizi, sia per le cosiddette spese obbligate per energia, mutui, casa, trasporti; sia per le spese discrezionali. Il traino dell’industria è però fondamentale per il benessere dell’Europa nel lungo termine, per l’innovazione, per la tenuta dello stesso comparto dei servizi. L’Unione Europea, a livello aggregato, continua ad avere un eccesso netto di risparmio rispetto all’investimento di circa il 3% del Pil. È qui che deve incidere una nuova iniziativa della Commissione e del Consiglio, con una politica fiscale per l’industria che sospinga gli investimenti.
Fonte: Il Sole 24 Ore