Unioni civili, con il cambio di sesso diritti coppia mantenuti in attesa del matrimonio

Unioni civili, con il cambio di sesso diritti coppia mantenuti in attesa del matrimonio

In caso di domanda di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso da parte di uno dei componenti di una coppia unita civilmente, se entrambi intendono proseguire la loro relazione trasformandola in matrimonio, i diritti acquisiti con la legge Cirinnà non si estinguono nel periodo compreso tra la cessazione del vincolo pregresso e la celebrazione del matrimonio stesso.
Sono questa le conclusioni raggiunte dalla Consulta, con la sentenza 66/2024, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 26, della legge 76/2016 che regola le unioni civili, nella parte in cui stabilisce che la sentenza di rettificazione anagrafica di attribuzione di sesso determina lo scioglimento automatico dell’unione civile senza prevedere, se il richiedente la rettificazione e l’altra parte dell’unione rappresentino personalmente e congiuntamente al giudice, fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, l’intenzione di contrarre matrimonio, che il giudice disponga la sospensione degli effetti derivanti dallo scioglimento del vincolo fino alla celebrazione del matrimonio e comunque non oltre il termine di centottanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione.

Il tribunale di Torino

Il caso era stato sollevato dal tribunale di Torino, nel corso di un giudizio per la rettifica di sesso da uno dei componenti di una unione civile.
Il giudice che ha rinviato alla Consulta aveva sollevato dubbi di costituzionalità della norma censurata, oltre che con l’articolo 2 anche con l’articolo 3 della Carta.
Nel mirino del tribunale era finita la disparità di trattamento rispetto all’ipotesi, speculare, in cui il percorso di transizione di genere sia attraversato da una coppia in origine eterosessuale, e unita in matrimonio.
Un’ipotesi in cui la stessa legge Cirinnà (articolo 1, comma 27) dispone che, «ove i coniugi abbiano manifestato personalmente e congiuntamente al giudice, nel corso del giudizio per rettificazione di sesso, la volontà di proseguire la loro relazione, dando vita a una unione civile, alla rettificazione di sesso consegue l’automatica instaurazione dell’unione civile». La Corte ha escluso la violazione dell’articolo 3 della Costituzione, sottolineando che, se pure il vincolo derivante dalla unione civile produce effetti molto simili a quelli del matrimonio, si tratta pur sempre di effetti non del tutto coincidenti, e, in parte, di estensione ridotta rispetto al vincolo coniugale, e ricompresa nel più ampio spettro dei diritti ed obblighi da questo originati. La obiettiva eterogeneità delle situazioni a confronto, esclude pertanto, la fondatezza del dubbio di contrasto con l’articolo 3 della Carta.

Il precedente vuoto di tutela

La Corte costituzionale ha colmato un vuoto di tutela, analogamente a quanto era avvenuto con la sentenza 170/2014.
Allora il giudice delle leggi aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale, della legge sulla rettificazione di attribuzione del sesso, superando il fenomeno del cosiddetto divorzio imposto, cioè lo scioglimento del matrimonio o della cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio celebrato con rito religioso come effetto della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso.
In quell’occasione la Consulta ha rivolto un monito al legislatore perché consentisse alle parti che avessero manifestato volontà in tal senso di non sciogliere automaticamente il matrimonio e «di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, la cui disciplina rimane demandata alla discrezionalità di scelta del legislatore».
Un intervento che superando, l’automatismo della legge sulla rettifica, aveva aperto la strada alla possibilità per i coniugi, ormai dello stesso sesso, a tutela dei diritti primari della coppia, di accedere ad un istituto che garantisse loro, analogamente a quanto fanno le norme sul matrimonio, diritti ed obblighi reciproci, senza soluzione di continuità e vuoti di tutela, istituto che è stato introdotto appunto con la legge sulle unioni civili del 2016.  

Fonte: Il Sole 24 Ore