Unioni di fatto, dovere morale di assistere l’ex anche a fine convivenza
Nelle unioni di fatto c’è un dovere morale e sociale di assistenza anche quando il rapporto è ormai finito. Per la prima volta la Cassazione afferma che rientrano nell’ambito di un’obbligazione naturale, e non devono dunque essere restituite, le somme spese per dare un sostegno economico all’ex convivente more uxorio. Partendo da questo principio la Suprema corte, ha respinto il ricorso con il quale un fratello unilaterale chiedeva al fratello maggiore quanto speso da sua madre per il “mantenimento” del comune padre, dalla fine dell’unione di fatto in poi. Dato ormai per assodato, secondo la giurisprudenza, il dovere di assistenza nel corso dell’unione di fatto, il ricorrente negava però la possibilità di estendere l’obbligazione naturale anche al “dopo”. In effetti, la Cassazione ammette l’assenza di precedenti pronunce su questo specifico profilo.
Assenza di precedenti che non impedisce ai giudici di legittimità di esprimersi, per «ricondurre nell’alveo dei doveri sociali e morali» anche la solidarietà nei confronti dell’ex-convivente more uxorio, considerando meritevole la tutela, alla luce della diffusione sempre crescente delle famiglie di fatto. «Occorre osservare che le convivenze di fatto sono un diffuso fenomeno sociale, anche se di origine relativamente recente, poiché dai dati statistici risulta la “moltiplicazione delle unioni libere”, che ormai sopravanzano, in numero, le famiglie fondate sul matrimonio – scrivono i giudici – come affermato anche dalla Corte costituzionale, da ultimo, con la pronuncia 148/2024, che ha ricostruito in dettaglio l’evoluzione del quadro normativo e tratteggiato le caratteristiche salienti dell’ampliamento progressivo del rilievo dato dal legislatore alle unioni di fatto».
La Corte di Straburgo e la Consulta
La Cassazione ricorda che l’affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia, prima nella società e poi nella giurisprudenza, grazie anche all’impulso dato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sentenza 21 luglio 2015, Oliari e altri contro Italia), ha trovato un approdo legislativo nella legge n. 76 del 2016. Nella cosddetta legge Cirinnà, in un unico e lungo articolo, suddiviso in 69 commi, sono previsti due modelli distinti: il primo, quello dell’unione civile, è riservato alle coppie formate da persone dello stesso sesso, il secondo, quello della convivenza di fatto, è aperto a tutte le coppie, eterosessuali e omosessuali. Quanto al secondo modello (la convivenza di fatto), la legge n. 76 del 2016 abbandona la rigida alternativa tra tutela o no, parametrata a quella riservata alla famiglia fondata sul matrimonio, e valorizza l’esigenza di una speciale regolamentazione dei singoli rapporti, siano essi quelli che vedono coinvolti i conviventi tra di loro o quelli tra genitori e figli o che si sviluppano con i terzi.
L’obbligazione naturale
La convivenza di fatto, tutelata dall’articolo 2 della Carta, implica un «legame affettivo di coppia» e diverse disposizioni di legge, nel tempo, ne hanno sancito il rilievo sotto molti profili. «Resta da aggiungere che – scrive la Suprema corte – come rimarcato dal Giudice delle leggi, pure nell’ambito della cornice normativa dettata dalla legge n. 76 del 2016 e dai provvedimenti legislativi settoriali successivi, restano ancora affidati alla spontaneità dei comportamenti tutti quegli aspetti che caratterizzano la gestione delle esigenze della coppia, quali coabitazione, collaborazione, contribuzione ai bisogni comuni, assistenza morale e materiale, determinazione dell’indirizzo familiare e fedeltà, durata della relazione».
Un quadro che porta la Cassazione a concludere che il dovere morale e sociale di assistenza materiale nei confronti dell’ex convivente more uxorio, anche dopo la cessazione del rapporto, si pone in linea coerente e conforme «alla valutazione corrente nella società in virtù dell’affermarsi di una concezione pluralistica della famiglia». Dovere «idoneo a configurarsi come obbligazione naturale, nella ricorrenza anche degli altri requisiti previsti dall’articolo 2034 del Codice civile (spontaneità, adeguatezza e proporzionalità) e avuto riguardo alla specificità del caso concreto».
Fonte: Il Sole 24 Ore