Valentino inventa la couture degli artisti e la porta a Venezia
«La moda non è arte» dice Pierpaolo Piccioli, secco e diretto. Siamo a Venezia, la città più facilmente associata all’arte nell’immaginario collettivo, nello spazio suggestivo delle Gaggiandre dell’Arsenale, luogo deputato ad esposizioni artistiche di ogni genere, sicchè l’affermazione ha un che di provocatorio, non ultimo perché Valentino presenta qui la nuova collezione di alta moda, concepita, in alcune parti, come un dialogo con diversi artisti. Se non é una contraddizione poco ci manca, ma Piccioli è adamantino sul non voler fare arte da indossare.
Una comunità di creativi per l’Atelier
Quel che gli interessa, invece, è creare una factory, una comunità di creativi intorno alla maison. Coinvolge lo scrittore e curatore Gianluigi Ricuperati, che lo aiuta nella selezione, e riunisce un gruppo di pittori di diverse età, estrazione, inclinazione estetica, nel processo, instaurando con ciascuno un dialogo che si incide sulla pelle di un abito. È un atto di traduzione nel quale la bidimensionalità del quadro diventa tridimensionalità di vestito, mentre la tecnica artistica si trasforma in virtuosismo dell’atelier couture, con velature tradotte in intarsi e pennellate rese in intagli. Il risultato è sublime, ma il problema di fondo permane: la moda non è arte e quando la incontra, nonostante le migliori intenzioni, tende a rimanere decorazione – che va benissimo, essendo il decorarsi una spinta umana di base. Ma il tema artistico è solo una parte di questa prova.
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Il segno e la visione di Piccioli sulla couture
Dall’atto di traduzione, infatti, derivano poco più di venti abiti su ottanta in totale: una percentuale bassa, che in passerella quasi si perde, sommersa dalle geometrie inesorabili, dai colori saturi e acrilici, dai volumi drammatici oppure cortissimi che sono il vero segno di Piccioli, la ragione della sua eccellenza, ripetuti con insistenza autoriale da una collezione all’altra, e traslati da ultimo anche al maschile. La couture di Valentino, nella visione di Piccioli e nella esecuzione delle suo atelier – la cui perizia merita un elogio a parte – è di una precisione ultraumana, ma vibra di una sentimentalità potente che apre crepe calde sotto il glaciale sembiante. Non abbisogna davvero di altro, perchè in questo senso è unica e irripetibile. Ben vengano i dialoghi, le traduzioni, le aperture, la community e la factory, che allargano e modulano il messaggio. Il valore vero però è altrove, e abbonda già.
Fonte: Il Sole 24 Ore