Valerio Adami, le idee senza mezze tinte

Più analitico e profondo perfino del suo marcato e personalissimo segno nero. Valerio Adami è un narratore che ibrida linguaggi e interroga secondo linee imperscrutabili e dense al contempo, che si compongono in una sinuosa armonia. Segno e colore in lui si imbrigliano a vicenda, le stesura serigrafica, nella freddezza plat sua tipica, dei blu e dei verdi, si accosta senza mai confondersi ai gialli, agli ocra e a i rossi, evocando, raccontando, descrivendo e criticando. Nessun chiaroscuro, sfumature o mezze tinte.

“Nulla è più lontano dal tenebrismo e dall’espressionismo delle grandi superfici di Adami. Colori compatti e metallici, però lievi come dipinti per mezzo dell’aria e della luce, i due grandi illusionisti del mondo occidentale” scrive Octavio Paz nel catalogo edito da Skira a corredo della mostra al Palazzo Reale di Milano (esposizione a cura di Marco Meneguzzo, visitabile fino al 22 settembre, ingresso gratutito).

Leger, Bacon e De Chirico

Più vicino a Leger, Bacon e De Chirico che al Wharol e a Roy Lichtenstein, incastrato suo malgrado nella classificazione di artista pop, la sua è piuttosto una poetica pienamente europea, che mette il copo umano al centro e che esige una decodifica concettuale ben più ampia della sola prospettiva statunitense. Perché Adami è pittore che si nutre di miti classici e di filosofia, attentissimo alla musica e in grado di profondere e giocare con metafore, allegorie e simboli. Il suo classicismo che guarda a Raffaello, e che lo porta a autodefinirsi come nato da una costola dell’Urbinate, nel dechirichiano Enea che fugge da Troia con il padre Anchise sulle spalle del 2009, riattualizza l’epica fino alle mete holliwoodiane, mentre in Penthesilea, capolavoro del 1994 il corpo della regina e amazzone bellissima fra i resti dei templi si accosta ad una novecentesca ambulanza dalle linee sinuose. I suoi ritratti privilegiano Nietzsche, Leopardi, Wagner, Bacon, Freud, e Kokoschka, e fra tutti si segnala l’evocativo ritratto di Walter Benjamin. E pazienza se certa critica si è fermata colpevolmente alle Latrine in Times Square, acrilico su tela del 1968. Perché il primo Adami è anche questo, è stato pop ma è poi la Figuration narrative a meglio descriverlo, e è anche quando gioca con oggetti d’uso quotidiano ed interni, il suo occhio è insolente, vigile e critico, ironico e tagliente.

Una pittura pur placida, mai pacificata la sua. In L’incantesimo del lago, acrilico del 1984, il mito si riempie di enigmi, ci volta il capo, e ci interroga. E quando le linee rette o sinuose di questo autore si muovono, si sdoppiano e ci sfuggono, ecco che narrano, mentre i ricordi personali si confondono ai miti, per farsi anche erotici, come in Un amore: la morte, del 1990. Ed è proprio il memento mori una costante degli ultimi suoi lavori, con la memoria che si fa unico antidoto alla dissoluzione mortifera.

Marco Meneguzzo

In Adami “c’è la sublime presunzione di costruire un cosmo linguistico unico, che però non abbia l’aspetto del magma prelinguistico” spiega il curatore Meneguzzo

Fonte: Il Sole 24 Ore