vantaggi e svantaggi per i lavoratori dipendenti privati”
Quasi 6.900 euro in più all’inizio, non più di 1.445 euro il quinto anno ma con la pensione in arrivo alleggerita. È quanto vedrebbe salire la busta paga annualmente un lavoratore dipendente privato, in possesso dei requisiti per accedere a Quota 103, che a 62 anni d’età e con un reddito di 40mila euro decidesse di sfruttare fino al raggiungimento della soglia di vecchiaia dei 67 anni il cosiddetto “bonus Maroni”. Che non è altro che l’incentivo a restare lavoro: la disponibilità direttamente nello stipendio dei contributi pensionistici a carico del lavoratore destinati all’Inps. Un’agevolazione che la legge di bilancio all’esame del Parlamento ha prolungato a tutto il 2025, tra l’altro ora in forma detassata, e che ha esteso a chi ha maturato i 42 anni e 10 mesi di versamenti necessari (“41+10” per le donne) per il pensionamento anticipato a prescindere dalla soglia anagrafica. Come emerge da una simulazione sviluppata dall’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), il vantaggio, «in un orizzonte di valutazione di breve» assume rilevanza in termini di «aumento immediato del reddito disponibile». Se invece l’orizzonte di valutazione è il lungo periodo, il bonus – afferma l’Upb – «non rileva ai fini della convenienza. La spiegazione risiede nel fatto che ai minori contributi pensionistici versati corrispondono minori assegni pensionistici in futuro».
Il bonus 2025 in versione detassata
La versione originaria del bonus Maroni nel periodo a cavallo tra il 2004 e il 2005 aveva riscontrato i favori di circa 53 mila persone. La riedizione di questa misura, con una fisionomia però abbondantemente rivista, è stata già prevista dall’esecutivo Meloni per il 2023 e il 2024. Il governo ha deciso ora di estenderla e rafforzarla a tutto il 2025. L’agevolazione si traduce nell’opportunità per il lavoratore di avere a disposizione direttamente in busta paga la quota di contributi a suo carico destinata all’Inps, pari al 9,19% dell’imponibile pensionistico per i lavoratori privati e all’8,85% per quelli pubblici. Contributi che il prossimo anno saranno “esenti” ai fini Irpef. A beneficiarne potranno essere i lavoratori in possesso dei requisiti per Quota 103 “contributiva” (almeno 62 anni d’età e 41 di versamenti) e per l’uscita anticipata con 42 anni e 10 mesi di contribuzione (41 anni e 10 mesi per le donne) a prescindere dall’età.
Il guadagno in busta paga a 62 anni e quello, minore, a 66
L’Upb prova a stimare l’effettivo vantaggio prodotto dal bonus nell’immediato e su un arco temporale più lungo per un lavoratore dipendente privato di 62 anni e con un reddito annuale di 40mila euro che decide di restare al lavoro fino al raggiungimento del limite di vecchiaia dei 67 anni. La stima con «crescita positiva e parametri istituzionali» è elaborata con valori in euro a prezzi 2024, calcolati su individui rappresentativi dipendenti del settore privato, con «un reddito da lavoro che cresce all’1,5% e il rendimento nozionale del sistema contributivo pari all’1%». Inoltre, l’aliquota contributiva presa a riferimento è «pari al 9,19% e l’aliquota marginale Irpef è posta pari al 35%» mentre «le aspettative di vita sono desunte dalle tavole di mortalità Istat per il 2023» e «il coefficiente di trasformazione del capitale nozionale in rendita è quello previsto dalla normativa corrente per l’età di pensionamento di 67 anni». Considerando tutti questi parametri, il guadagno annuale netto, per effetto della quota di contributi dirottata in busta paga e della detassazione, scontando la riduzione futura dell’assegno pensionistico, sarebbe di 6.876 il primo anno, di 5.570 euro a 63 anni, e 4.229 euro a 64 anni. Con il salire dell’età il beneficio sullo stipendio si riduce, scendendo ulteriormente a 2.855 euro al sessantacinquesimo anno d’età e a 1.445 euro al sessantaseiesimo.
Quanto conviene il bonus Maroni
In un orizzonte di lungo periodo il bonus Maroni sembra dunque convenire molto meno. Anche perché «ai minori contributi pensionistici versati corrispondono minori assegni pensionistici in futuro», fa notare l’Upb. Che aggiunge: «l’unico vantaggio sostanziale risiede allora nel fatto, ma ciò accade solo dal 2025, che i contributi che entrano in busta paga sono esenti da tassazione personale sul reddito». Ma l’Upb osserva anche che «la parte di gran lunga maggiore del vantaggio del provvedimento di rinuncia all’accredito contributivo dipende, in un’ottica di lungo periodo, dall’esenzione dalla tassazione personale sul reddito».
Un vantaggio fiscale «non particolarmente incentivante»
Nella relazione tecnica della legge di bilancio il governo ipotizza in 7mila lavoratori la platea potenziale interessata al bonus Maroni nel 2025. «Alla luce della stima del numero dei potenziali fruitori dell’agevolazione e del fatto che il vantaggio fiscale non risulta particolarmente incentivante, le stime della relazione tecnica appaiono prudenziali», afferma l’Upb. Che poi sottolinea: «il successo della politica di incentivazione nell’aumentare in maniera significativa la partecipazione al mercato del lavoro richiederebbe un impegno finanziario di più ampia portata di quello prospettato».
Fonte: Il Sole 24 Ore