Venture capital, il mercato italiano torna a crescere nel 2024, a +7,5%
Il mercato del Venture Capital in Italia torna a crescere nel 2024 – pur in un contesto internazionale viceversa di rallentamento del settore – ma sembra far fatica a esplodere e prendere la direzione di una crescita esponenziale che sembrava essere iniziata nel 2022. I numeri del nuovo EY Venture Capital Barometer (che sarà presentato mercoledì 15 alle ore 17 e si potrà seguire anche in streaming sul canale startupitalia.eu) sono a una prima lettura positivi: lo scorso anno gli investimenti in capitale di ventura nel nostro Paese hanno raggiunto quota 1,1 miliardi di euro, per 292 round chiusi, con un incremento del 7,5% in valore rispetto al 2023 e dell’11% nel numero di operazioni. Il valore medio si è invece mantenuto stabile, a circa 3,9 milioni di euro. I principali settori per valore degli investimenti sono Health & Life Science, Software & Digital Services, Technology & IoT, Fintech, Energy&Recycling. Tra i principali round del 2024, Bending Spoons (143 milioni) e Medical Microinstruments (101 milioni).
«Il bicchiere più che mezzo pieno è la constatazione che il sistema del Venture Capital italiano ha ormai raggiunto un volume di investimenti stabilmente superiore al miliardo di euro, in un contesto Paese che presenta molte criticità e fattori di crescita limitati, con una scarsa propensione agli investimenti e un numero di start up e scale up che lo scorso anno è diminuito», spiega Marco Daviddi, Strategy and transactions markets leader Europe West di EY. Tuttavia, sottolinea Daviddi, «ancora non ci sono le condizioni per agganciare quel trend di crescita a cui tutti ambiscono. A ben guardare, anche i risultati del 2022 erano in realtà influenzati dal valore molto elevato di alcuni deal». Gli analisti di EY parlano percià di una fase di «galleggiamento», sottolineando che il mercato italiano si dimostra ancora limitato rispetto agli altri Paesi europei, con investimenti che rappresentano appena lo 0,06% del Pil, contro lo 0,20% della Germania, lo 0,26% della Francia e lo 0,12% della Spagna.
Il confronto con l’Europa
Il confronto è poco lusinghiero: nonostante il forte calo (-18%), nel Regno Unito lo scorso anno si sono contati 1.213 operazioni, per un valore complessivo di 12,8 miliardi di euro e un valore pro capite di 186 euro (in Italia è stato di appena 19 euro). Anche la Francia ha registrato una flessione (del 13%), ma conta comunque 541 deals per 4,4 miliardi. La Germania cresce e conta 905 deals per 4 miliardi.
«C’è un tema importante di capacità di attrazione degli investimenti, che per quanto riguarda il nostro Paese è ancora limitata – spiega Gianluca Galgano, Startup and Venture Capital leader di EY -. Il grande numero di Venture Capital in Regno Unito riflette proprio questa capacità: anche le nostre aziende,quando raggiungono una dimensione più significativa, si spostano e spesso scelgono proprio il Regno Unito che, anche dopo Brexit, presenta un contesto di investimenti molto più attrattivo».
Il quadro regolatorio
In questo senso, la nuova normativa sulle start up (lo Start Up Act approvato lo scorso 16 dicembre) migliora il quadro regolatorio sugli investimenti in nuove imprese e Pmi innovative. «Iniziamo il 2025 con una normativa più completa di quella precedente e con un sistema di incentivazione fiscale più chiaro e semplificato – osserva Daviddi -. Questo può dare una spinta e uno stimolo e il agli investitori istituzionali italiani». Inoltre, dopo un 2024 in cui Cassa Depositi e Prestiti ha un po’ rallentato la propria attività di Venture Capital, il mercato si attende una ripartenza degli investimenti di Cdp. Un ulteriore elemento positivo è che la percezione dell’Italia nel contesto internazionale, dal punto di vista degli investimenti, sta migliorando e questo potrebbe aumentare nei prossimi anni la capacità di attrazione degli investimenti sul medio-lungo termine. Infine, quello che manca in Italia è un sistema di investimenti in start up e scale up attraverso il meccanismo del corporate Venture Capital. «Il nostro sistema imprenditoriale è molto frammentato e quindi fa fatica a reinvestire in innovazione attraverso investimenti in nuove imprese – aggiunge Daviddi -. Ma è in atto un trend importante: il nostro ultimo Report sulle attività di M&A ha rilevato che la quota di operazioni funzionali a perseguire il consolidamento rappresenta ormai il 75% del totale, quindi abbiamo aziende che si integrano, sempre più grandi, con alle spalle fondi di private equity o grandi gruppi e questo consente di avere quella visione e quella solidità finanziaria che servono per investire in start up e scale up».
Fonte: Il Sole 24 Ore