Verso la definizione di nuove aree interne, ecco le risorse in arrivo
(Il Sole 24 Ore Radiocor) – Mara Carfagna, Ministro per il Sud e per la Coesione Territoriale, ha invitato i Presidenti delle Regioni a individuare nuove aree da inserire nella Snai, la Strategia nazionale per le aree interne, per il periodo di programmazione 2021-2027. Per aree interne si intendono i Comuni, o aggregati di comuni, che si trovano in aree remote e non vengono raggiunti dai servizi essenziali. Questa politica ha come obiettivo quello di individuare i comuni del territorio a rischio di marginalizzazione, vale a dire quelle zone dove i servizi di base come istruzione, sanità e trasporti sono inaccessibili, e invertire questo trend. Lo fa attraverso progetti di sviluppo locale, finanziati principalmente con i fondi europei, e interventi sui servizi essenziali sostenuti con fondi nazionali. Nella sua lettera, il Ministro ha ricordato ai Presidenti che, alle aree ammesse nella Snai per la programmazione 2021-2027, verranno destinati 825 milioni provenienti dal Pnrr e 300 milioni dal Fondo complementare per l’implementazione delle infrastrutture stradali, ai quasi si aggiungono 310 milioni già stanziati dallo Stato.
Il 22% delle popolazione in aree con pochi servizi
Si stima che siano 13 milioni di cittadini, circa il 22% della popolazione, a vivere in queste zone che comprendono il 60% della superficie del paese. Già a partire dalla fine della Seconda guerra mondiale, questi territori sono a forte rischio di invecchiamento e abbandono. Lo spopolamento di queste aree è sia causa che conseguenza dell’impoverimento della qualità dei servizi essenziali, come l’istruzione, e della crescita delle disuguaglianze in merito all’accesso ai servizi di base. Ma a risentire del fenomeno è stata anche la conservazione del patrimonio artistico e culturale di cui questi comuni spesso sono i custodi, e persino il rischio idrogeologico. Per frenare il processo di abbandono, la Strategia Nazionale per le Aree Interne (SnaiI) vuole rilanciare il potenziale di queste zone valorizzando le opportunità che il territorio offre, anche attraverso la cooperazione inter-comunale. Le aree selezionate dalla Snai sono attualmente settantadue, di cui fanno parte più di mille comuni per circa 2 milioni abitanti.
“Nessuno deve essere lasciato indietro”
“Nessuno deve essere lasciato indietro” è una delle frasi ricorrenti, quasi un motto, della Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Coerentemente con questo obiettivo, il problema delle aree isolate e marginalizzate è una delle preoccupazioni principali della politica di coesione, specialmente dopo la pandemia da Covid19, che ha esacerbato le disuguaglianze già esistenti tra i cittadini. Per questo, la Commissione Ue ha avviato uno studio sulle aree marginalizzate, definite come “lonely place” – aree solitarie – e su come queste possano, attraverso i fondi europei e politiche per il loro sviluppo, fare della loro condizione un’opportunità. Per la Commissione le lonely place non sono un concetto assoluto, ma relativo al territorio, e che per questo implica una responsabilità condivisa delle istituzioni sia locali che nazionali e sovranazionali. L’Ue individua sei tipologie diverse di aree solitarie che necessitano di interventi diversificati. Per quelle caratterizzate da un alto tasso di spopolamento e invecchiamento, che si accompagna con alto tasso di perdita di occupazione, la Commissione indica come strada per la ripresa quella di scommettere sulla silver economy – il settore dei servizi destinato agli over 65 – la transizione digitale, valorizzazione del territorio e integrazione di giovani e donne nel mercato del lavoro. Ma le aree marginalizzate possono essere anche urbane. E’ il caso della quinta e sesta categoria di lonely place. La prima riguarda la distribuzione di servizi e luoghi di divertimento all’interno delle città. Se questo può non essere un problema per i giovani, può diventare un motivo di esclusione sociale per la popolazione anziana. La sesta categoria richiama invece i quartieri delle città caratterizzati da difficoltà socio-economiche, bassa qualità dei servizi e alta concentrazione di migranti. In questi casi, per evitare che i gruppi più vulnerabili vengano paradossalmente marginalizzati dalle politiche di sviluppo – ad esempio da corsi di formazioni elargiti in una sola lingua, non accessibile per tutti i membri della comunità -, in queste aree bisogna combinare le strategie pensate per il territorio con quelle che mettono al centro i bisogni delle persone.
Fonte: Il Sole 24 Ore