Viaggio a Rasiglia, borgo di acque e storie in cerca di un futuro sostenibile

Non è magia. La natura può generare anche case, fabbriche, lavoro e storie. Da quella sorgente, da quell’acqua che scorre nelle profondità per kilometri prima di incontrare fenditure nel travertino e risalire al suolo, è nata Rasiglia. Rasa – ilia, le parole paleoumbre che significano “impetuose sorgenti” che rivelano le origini antichissime di questo borgo abitato oggi solo da qualche decina di anziani, aggrappati a questo versante delle boscose montagne vicino Foligno come radici degli alberi, e che ricordano quando il loro paese «era come Milano».

Nel minuscolo borgo arrivano 5mila turisti al giorno

Se oggi Rasiglia sembra ancora un po’ Milano è per la enorme quantità di turisti che da qualche anno a questa parte risalgono fino ai suoi 650 metri di altitudine lungo la tortuosa strada statale 319, per vedere le sue strette strade di pietra svilupparsi come dei fili intorno ai canali delle sue sorgenti. “Piccola Venezia”, l’hanno definita, formula veloce che la incastona in un paragone attraente ma pigro: migliaia di persone la affollano soprattutto nei fine settimana d’estate, almeno 5mila al giorno, fermandosi spesso a fare un selfie sul bordo della peschiera, la grande vasca dove l’acqua trasparente fa ondeggiare le piante sotto la superficie, che per i rasigliani è la piazza del paese, senza capire di trovarsi in uno dei luoghi più ricchi e interessanti dell’archeologia industriale italiana.

Una storia di sorgenti, nobili famiglie e donne imprenditrici

Fin dal Duecento la piccola Rasiglia era un borgo-filiera della lana: l’acqua generosa alimentava tutte le macchine necessarie per trasformare il vello in tessuti di alta qualità, tinti con le piante della montagna, come il guado, la robbia e la reseda. Nel Cinquecento arriva la famiglia di lanaioli Tonti, che aprono la loro manifattura approfittando del decadimento dei Trinci, i signori di Foligno che avevano fatto di Rasiglia la loro fabbrica. Costruiscono gli edifici dove si vive e lavora letteralmente sull’acqua, che dal basso alimenta i meccanismi. Un giorno di metà Ottocento, però, questi si rompono. Accorre ad aggiustarli da fuori il perito Giuseppe Accorimboni, che si innamora della volitiva Caterina Tonti, erede del lanificio di famiglia.

Lei è un’imprenditrice d’avanguardia, si dice che fumi il sigaro e vada a caccia indossando pantaloni, e soprattutto fa installare a Rasiglia la prima turbina idroelettrica dell’Umbria, per alimentare il nuovo lanificio Accorimboni che inaugura insieme al marito. Nei giorni di piena gli operai possono anche accendere una lampadina in casa, c’è benessere in paese, anche se non ricchezza, tanto che i corredi delle ragazze di Rasiglia fanno invidia a quelli delle ragazze di città. È allora, all’inizio del Novecento, che il paese inizia a sembrare come Milano, aprono banche, scuole, alberghi dove si può attendere che la lana grezza diventi un abito confezionato grazie al lavoro delle mani di quella piccola, completa filiera.

La crisi del dopoguerra e del terremoto, e poi la rinascita

La seconda guerra mondiale però passa con i suoi bombardamenti, che affliggono anche Foligno e il suo snodo ferroviario. I macchinari dei Tonti sono distrutti, e si decide di scendere a valle, dove la città e il progresso chiama a gran voce. Se il dopoguerra porta via le fabbriche da Rasiglia, il terremoto del 1997 le sottrae quasi tutti gli abitanti che avevano scelto di restare. Per anni Rasiglia resta un borgo fantasma, le strade decadono, i canali si intasano fra gli edifici abbandonati. L’unico rumore del paese è quello costante e testardo dell’acqua, almeno finché nasce un’associazione, Rasiglia e le sue sorgenti, animata dai figli dei suoi abitanti, che decide di farla risorgere.

Fonte: Il Sole 24 Ore