Victoria Lomasko, voce della Russia remota, censurata e nascosta

I lavori di Victoria Lomasko sono schizzi, interviste, giornalismo e sociologia messi insieme. Studiano il flusso della vita che scorre nei cortili dove si gioca a backgammon, nelle bottegucce, nelle carceri minorili, nelle aule senza legna, nelle strade di neve e ghiaccio. Tra anziani ortodossi, senzatetto, migranti schiavizzati, minoranze sfruttate, gay privati dei loro diritti. Gente che non conta nulla e che non può contare su alcuna speranza. Ingiustizie, violenze domestiche, umiliazioni, arretratezza, ciò che non appare sui giornali.

Sono loro a parlarci. E con ciascuno dei suoi personaggi Lomasko crea un legame immediato, diretto, senza mai giudicare, senza mai cadere nella parodia o nel disprezzo, riempiendo invece le sue storie di compassione. E in questo percorso si ritrova rigettata nell’avvento di un’altra dittatura, dove viene censurata «qualunque forma d’arte che descriva ciò che avviene sotto i nostri occhi». «L’ultima artista sovietica», pubblicato nella traduzione italiana da Becco Giallo, si ricollega al precedente lavoro di Lomasko, reportage tra gli “invisibili e arrabbiati” di Russia raccolti tra il 2008 e il 2016. Già allora, racconta Victoria, «la censura e la repressione rendevano sempre più difficile e pericoloso lavorare sui temi sociali».

«L’ultima artista sovietica» si conclude nel 2021 a Mosca, testimonianza delle ultime proteste e del giro di vite che si stringe prima del buio della guerra. In gennaio Navalny, tornato dalla Germania e subito arrestato, chiama i suoi a manifestare; nelle elezioni di autunno gli attivisti dell’opposizione tentano per l’ultima volta di farsi sentire sui temi sociali. Victoria descrive quei giovani che protestano «come se uno stormo colorato di uccelli si fosse posato sulla neve: non c’era nulla in comune tra loro e il drappello nero degli agenti antisommossa che si avvicinava». Come immaginare, allora, che anche questi sprazzi di protesta sarebbero stati spenti? «Se ci sarà la possibilità di riavere indietro la mia patria – dice Oleg, ex giornalista di Mosca fuggito a Tbilisi – ritornerò».

«Sono nata in Unione Sovietica – racconta infine Victoria di sé –, e anche se è crollata quando io ero adolescente, l’esperienza di vivere in un Paese totalitario, isolato dal resto del mondo, è qualcosa che ricorderò sempre. Più di ogni altra cosa al mondo, non volevo rivivere qualcosa di simile».

Ora il silenzio imposto dalla censura è pressoché totale. Chi potrà ora raccontare questi angoli remoti e queste voci nascoste, questa Russia di cui sappiamo sempre meno, malgrado sia al centro della cronaca di ogni giorno? E che ne è stato dei personaggi di Victoria? Preziosi come le testimonianze rimaste tra le persone care che abbiamo ancora vicino, i ricordi di famiglia o di guerra che cerchiamo di trattenere, perché non siano destinati a poco a poco a svanire.

Fonte: Il Sole 24 Ore