Vino, come riconoscere al volo i difetti di una bottiglia appena stappata
Non tutte le imperfezioni olfattive e gustative di un vino sono ascrivibili a difetti nel tappo, anche se non vi è perdonato non riconoscere il tipico sentore di tappo che è un difetto grave. Vediamo insieme le connotazioni negative più evidenti che possiamo riscontrare all’apertura di una bottiglia.
Il vino che sa di tappo si riconosce subito dall’odore di muffa, di cantina umida e questo è dovuto a una muffa, appunto, che si chiama Tricloroanisolo (Tca). In caso di “tappo”, un caloroso consiglio: evitate accanimenti e forzature e sbrigatevi a far sparire quella bottiglia disgraziata che fa schifo anche in cucina, giacché le pietanze al sapore di tappo risultano sgradevoli e indigeste, proprio come quel vino.
Un’ altra pessima caratteristica facilmente riconoscibile nel bicchiere è la “volatile”, quello che una volta chiamavano “spunto”: ovvero quando un vino ha letteralmente “preso d’aceto”. Si riconosce dal sentore di solvente, come l’acetone che usiamo noi signore (ma la categoria è in espansione) per rimuovere lo smalto dalle unghie.
Per l’appunto questo dipende dal processo di vinificazione e dalla qualità delle uve, anche perché si tratta di un difetto e non di una tipicità. A questo proposito: vi è mai successo di bere un vino fatto in casa da qualche campagnolo che ve l’ha spacciato per il massimo della genuinità? «Non ci ho messo niente, qui c’è solo uva pigiata!»: ecco, non è vero e in genere quel vino è pure una roba tremenda che spesso sa di aceto; semplicemente non tutti hanno il coraggio di dirlo e con la scusa della “naturalità” tracannano sozzure improponibili. Piuttosto, imparate a riconoscere l’acidità volatile al primo sorso e, possibilmente, anche all’esame olfattivo.
La riduzione con un bicchiere adeguato e un po’ di “respiro” (poiché dipende dalla prolungata assenza di contatto con l’ossigeno) può rivelare tesori nascosti; pertanto tendo a non considerarla come difetto. È difficile da spiegare poiché rappresenta un’alterazione, ovvero una sensazione inafferrabile e senza un riconoscimento netto (seppur reversibile).
All’opposto i sentori ossidativi sono insopportabili se non in presenza di ossidazione tecnicamente voluta come nel caso del Madeira, del Porto ma anche del Vin Santo toscano, quello che diventa buono coi biscottini inzuppati dentro. La riduzione – che, ripeto, di solito non mi pare un difetto – in fase molto avanzata si esprime “al naso” attraverso evidenti sentori di uova, talvolta di formaggio; insomma tutta roba che non vorremmo ritrovare nel bicchiere. L’ossidazione muove invece su connotati olfattivi più chiari e irreversibili come il minestrone o il glutammato che a contatto con l’ossigeno scivolano più pesantemente con il piede nella fossa.
Fonte: Il Sole 24 Ore