Vino, il grande mercato africano è la nuova frontiera dell’export
Il flusso, in questo caso degli operatori, va anche in senso contrario. Il Consorzio Vino Chianti è reduce dal suo primo tour a sud del Sahara, con due tappe nel novembre dell’anno scorso fra Angola e Nigeria: due fra le economie più frizzanti su scala continentale e potenziali approdo di un vino italiano già al terzo posto fra i consumi degli angolani. «Quello africano è un mercato in crescita e ci sono potenzialità enormi in alcuni Paesi», spiega Giovanni Busi, presidente del Consorzio.
Gli ostacoli e il potenziale del mercato
Gli ostacoli rimangono, visto il peso ancora minimo della regione sulla bilancia commerciale vinicola e i tempi lunghi per una maturazione dei rapporti. L’investimento «è di lunga gittata», precisa Piero Tonutti, ordinario di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree e direttore del Master «Vini italiani, mercati mondiali» alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa. Fra le incognite per chi si affaccia sul mercato permangono una tassazione pesante, regolamentazioni stringenti, una logistica tutt’altro che agevole e alcune limitazioni tecniche: basti pensare «alla questione della refrigerazione del vino bianco», dice Tonutti, in Paesi dove la catena del freddo è sviluppata a livelli inadeguati. Un altro scoglio evidente è quello legislativo, soprattutto nel Nord, in Paesi dove il consumo di alcolici è proibito o limitato in contesti talmente circoscritti da vanificare investimenti di grossa portata.
Gli spiragli sono quelli di una crescita naturale, sia nella demografia che nelle abitudini di consumi verso un prodotto che fa breccia in centri urbani sempre più popolati e in una classe media in via di espansione. Il tutto sullo sfondo dell’African continental free trade area, l’accordo di libero scambio entrato in vigore nel 2021 e destinato alla creazione di una “Schengen africana” per abbattere il 90% delle tariffe doganali. A beneficiarne potrebbe essere anche i mercati nascenti, come quello del vino. È vero che i margini sono ancora ridotti, ma «qualche anno fa era lo stesso con il nostro vino in Cina – racconta Busi del Consorzio Vino Chianti –. La crescita dei consumi ci sarà anche in Africa».
Sud Africa leader, ma crescono Tunisia e Marocco
Per quel che riguarda la produzione continentale, il peso massimo non può che essere il Sudafrica, il settimo produttore di vino su scala globale dopo Francia, Italia, Spagna, Stati Uniti, Cile e Australia. Il resto del mercato si frammenta fra Paesi con buone tradizioni o chanche di crescita, con alcune sorprese nella fascia settentrionale: dal Marocco al Togo, dall’Angola alla Tunisia.
Il mercato africano del vino è dominato inevitabilmente da Pretoria o, meglio, Città del Capo: la culla di una tradizione vitivinicola che risale alla metà del XVII secolo e mantiene nel Western Cape il grosso delle attività. Secondo gli ultimi dati di South African Wine Industry Statistics, una pubblicazione semestrale della società di ricerca Sawis, il Paese ha registrato nel 2023 una produzione complessiva di 775 milioni di litri (in calo rispetto agli 864,7 circa del 2022) ed esportazioni per 306,5 milioni di litri contro i 386,4 milioni dell’anno precedente. Il bianco conferma il suo dominio con 508,7 milioni di litri prodotti contro i 266,8 milioni del rosso, in aggiunta a 116,7 milioni di vino distillato, 39,2 milioni di vino destinato alla produzione di brandy e 2,4 milioni per il succo d’uva. Nel complesso si parla di un’industria che incide su circa il 4% sia della produzione che dell’export complessivo di vino, con un valore di 56,5 miliardi di rand (circa 2,9 miliardi di euro) e un totale di oltre 270mila lavoratori coinvolti.
Fonte: Il Sole 24 Ore