Vino, più tasse e dazi in Russia e Regno Unito (terzo Paese dell’export italiano)

Si complica lo scenario internazionale per il vino italiano. A un quadro che nel primo semestre di quest’anno ha fatto segnare cali quantitativi in doppia cifra per le vendite in Usa, Canada, Giappone, Norvegia, Cina e Corea del Sud si sono aggiunte due inaspettate novità negative: il rialzo dei dazi sul vino della Russia e, soprattutto, le nuove accise sugli alcolici imposte dal primo agosto scorso dal Regno Unito.

A preoccupare è soprattutto la novità britannica perché mentre la Russia è solo il decimo mercato per il vino italiano (anche se è il quinto con riferimento ai soli spumanti) il Regno Unito invece è saldamente il terzo sbocco per le etichette italiane (alle spalle di Usa e Germania) con un fatturato che nel 2022 è stato di 741 milioni.

In linea con le indicazioni dell’Oms che raccomanda la riduzione mondiale dei consumi di alcol (senza distinzione tra uso e abuso), mentre l’Irlanda punta sui warnings in etichetta il Regno Unito punta a fare cassa con un nuovo sistema di accise (che resteranno in vigore 18 mesi poi potrebbero essere ancora ritoccate al rialzo) definite innanzitutto con un nuovo metodo di calcolo parametrato non più sul volume ma sul grado alcolico. Si tratta di una normativa pensata quindi per frenare in primo luogo le vendite di superalcolici ma che sul mercato britannico riporteranno in auge la birra penalizzando invece il vino (che Oltremanica si produce in piccolissime quantità).

Vengono infatti assoggettati a un’accisa rafforzata (da 2,97 a 3,56 euro al litro, +20%) i vini fermi con una gradazione da 11,5 a 14,5 gradi. Passa da 3,96 a 4,27 sterline al litro (+7,8%) per i vini con gradazione superiore a 14,5 gradi mentre invece scende da 3,81 a 3,56 (-6,5%) per gli spumanti.

«La scelta del Regno Unito – ha commentato il segretario generale dell’Uiv, Paolo Castelletti – segna una novità assoluta in Europa: per la prima volta, infatti, l’accisa non si calcola più solo sui volumi ma sul grado alcolico. Ma se da una parte la tassa sembra fatta per scoraggiare i consumi di superalcolici, dall’altra penalizza anche il vino (che nulla ha a che fare con gli spirits) e avvantaggia, forse non a caso, l’industria della birra».
«C’è preoccupazione – ha concluso – non solo per questo periodo transitorio di 18 mesi, che vede un aumento delle accise nell’ordine del 20% per i vini fermi e un decremento del 6,5 per gli spumanti, ma anche per futuro, quando le accise cambieranno e ogni grado (o frazione) avrà la propria quotazione, causando non pochi disagi anche sul piano amministrativo».

Fonte: Il Sole 24 Ore