Vitaliano Brancati, il dovere di ricordare un anticonformista d’eccezione

Se oggi lusingare Andrea Camilleri è diventato un prudente dovere, trascurare Vitaliano Brancati sarebbe un’incauta eresia. Per lui i suoi contemporanei Montale e Sciascia scomodarono, et pour cause, Gogol’ e Stendhal. Aveva, il siciliano Brancati (era nato a Pachino nel 1907), quell’ironia che serve per crescere sano e salvo nell’encierro della provincia e poi conquistare approdi di luce nel gran mondo letterario dell’Italia post-fascista.

Sciascia

Aveva capito meglio di chiunque, e quindi senza darlo a vedere, che l’italiano del Ventennio coltivava l’arte del bonheur dans l’esclavage proprio come i maggiorenti siciliani fecero per secoli con l’inquisizione spagnola. Sciascia, che di Brancati aveva il piglio illuministico e il disincanto tardo borbonico, lo ha sempre amato e difeso. Alla Sciascia, naturalmente: cioè senza fare mai differenza tra il palcoscenico nazionale privilegiato e la schiva conferenza di paese.

Preferendo Brancati a Vittorini (scusate se è poco), Sciascia difendeva i valori umanistici contro le dittature, di qualsiasi colore, e la lezione gli veniva proprio dai personaggi della trilogia del gallismo, spassosissimi campioni di ridondante servilismo e conformismo sociale.

Il ricco siciliano a Roma nei primi anni Cinquanta (è il Leopoldo Platania de La governante, testo teatrale del 1951, censurato l’anno dopo e rappresentato solo nel 1966) non ha pregiudizi ma ancora ricorda quel che di scandaloso successe, a Caltanissetta, vent’anni prima nella terrazza di Saro Musumarra. Ma la terrazza di Saro (cioè Rosario) della quale noi oggi sorridiamo condiscendenti è poi molto diversa dall’attuale società pettegola e guardona che ha nello sputtanamento a mezzo stampa uno dei suoi numeri preferiti?

E’ in questa simmetria antropologica, nel bovarismo residuale progressista, nel municipalismo delle divinità fluviali, che l’Italia imperfetta di ieri si specchia pari pari in quella odierna e dovrebbe quindi riconoscere a Brancati i crismi del classico. Ma la nostra cultura soffre di pigrizie spaventevoli: eleva il vivace intelletto del Flaiano aforista a maestro, coccola i moderni del cosiddetto estremo contemporaneo, e alterna miopie a strabismi a giorni alterni.

Fonte: Il Sole 24 Ore