Wolleb (Ismeri): «Per la politica di coesione compiti non commisurati agli obiettivi»
La Germania e le regioni dell’Est Europa, ad esempio, stanno scontando l’effetto dell’abbandono del carbone e dei combustibili fossili con la riconversione delle imprese “brown” e a forte intensità energetica e l’incognita delle conseguenze su costi e competitività. Gli interventi di mitigazione delle produzioni inquinanti in agricoltura e nell’industria hanno un forte impatto sulle produzioni in Spagna, Francia e Italia e si abbattono su imprese fragili finanziariamente e sul mercato. Parliamo di regioni in transizione e sviluppate il cui adattamento alla sfida ambientale dipende dalle decisioni di investimento del settore privato e dall’evoluzione incerta dell’economia globale. Ma ci sono anche la sfida demografica e la globalizzazione da tenere in considerazione, perché colpiscono soprattutto le regioni del Sud Europa, Spagna e Italia (in particolare Basilicata, Sicilia, Abruzzo e Toscana) oltre che dell’Est Europa. Dallo studio di Ismeri emerge che gli effetti della transizione verde si integrano con quelli della demografia e della globalizzazione, rinforzandosi vicendevolmente.
In che modo transizione verde e demografia si rafforzano a vicenda?
La transizione può aprire finestre di opportunità per le regioni meno sviluppate, con disponibilità di territorio verde e di energia pulita, per attrarre produzioni, a patto che investano risorse su infrastrutture e servizi per renderle attraenti e accessibili, perseguendo una strategia “offensiva” di competitività territoriale, che nei programmi Ue 2021-2027 non è ancora presente, ma verso cui bisogna tendere. O invece può indebolire regioni dove sono più evidenti i problemi di invecchiamento e decrescita della forza lavoro, gli squilibri tra competenze richieste e offerte dal mercato e la carenza di manodopera specializzata, necessaria per la transizione verde. La transizione non sarà un processo lineare come risulta dai programmi, bensì densa di incertezze e ostacoli e rifiuti e si produrranno cambiamenti non solo green ma di specializzazione produttiva e territoriale che dovranno accompagnarsi a più focalizzate ed estese politiche sociali e del lavoro.
Servono dunque ancora più risorse per riuscire ad allineare i livelli di benessere all’interno dell’Ue?
L’Ue sta investendo risorse come mai in precedenza, perché ai fondi per la coesione si aggiungono quello agricolo e il PNRR, con medesimi obiettivi di contrasto alla doppia transizione. Nei 28 Paesi è prevista una spesa di circa 825 miliardi di euro tra il 2022 e il 2027; solo in Italia circa 280 miliardi. Le risorse disponibili ordinarie e straordinarie sono ritenute dai responsabili dei Paesi maggiormente beneficiari addirittura in eccesso rispetto alle capacità di assorbimento, perché non sorrette da progettualità sufficiente. Il punto, quindi, non è la quantità di risorse, ma di riuscire ad attivare interventi coerenti e integrati, che invece è difficile portare avanti con fondi operativamente indipendenti. E c’è bisogno, dopo anni di “laissez faire”, di una politica industriale europea, che guidi il settore privato e le politiche di adattamento delle regioni, soprattutto su alcune scelte fondamentali in campo energetico e tecnologico, dove tra l’altro manca la capacità di assorbimento di risorse di R&TD delle regioni che più ne hanno bisogno.
Fonte: Il Sole 24 Ore