Woolmark celebra 60 anni puntando sulla lana riciclata

Nel 1963, quando fu scelto, la sostenibilità non era una priorità per l’industria della moda. Eppure, il logo di Woolmark creato da Franco Grignani, pensato come un elegante gomitolo, era talmente innovativo che oggi funziona perfettamente anche per la nuova certificazione di Woolmark. Il marchio che certifica, appunto, la qualità della pura lana vergine merino australiana, celebra i suoi 60 anni con “Recycled Wool”, che garantisce che i prodotti in lana contengano almeno il 20% di fibra riciclata, rispettando al contempo gli standard qualitativi di Woolmark. I prodotti possono contenere lana riciclata proveniente sia da fonti pre-consumo, come gli scarti di taglio dei tessuti, sia da fonti post-consumo, come gli indumenti, certificati da standard quali il Grs e il Rcs.

«È la nostra risposta a un mercato che chiede sempre più sostenibilità e alle nuove direttive europee sull’eco-design – spiega Francesco Magri, regional manager Central & Eastern Europe di Woolmark – e ribadisce come la lana sia fra le fibre più naturali e sostenibili. Non solo, è anche traspirante, antiodore, resistente, protettiva dai raggi Uv. Per tutto ciò è sempre più richiesta e usata, non solo dalla moda, ma anche dallo sportswear e di recente anche dal workwear, per esempio per le tute destinate a chi lavora nell’edilizia».

Le uniformi dell’equipaggio di Luna Rossa Prada Pirelli, i costumi di Arena e Vilebrequin, le sneaker di Salomon, gli interni di alcuni modelli di auto Volvo, sono in lana merino australiana certificata Woolmark, che sta investendo decine di milioni di dollari anche per abbattere ulteriormente l’impronta ecologica della produzione di lana dei suoi 60mila allevatori. Per esempio, secondo uno studio del 2021 dell’associazione ambientalista svizzera Ecoinvent, la lana produrrebbe gas serra 8 volte in più del cotone, a causa delle grandi quantità di metano emesse dal processo digestivo delle pecore: «È un tema che stiamo affrontando – prosegue Magri –, abbiamo investito 11 milioni di dollari per un progetto che sviluppa mangimi a base di alghe australiane proprio per ridurre queste emissioni. Gli allevatori con le loro fattorie sono custodi della naturalità dell’ambiente, per esempio mettendo a dimora sempre più alberi per permettere alle pecore di avere più ombra».

Un altro tema al centro del dibattito sulla sostenibilità della lana è la pratica del mulesing, che consiste in un’operazione effettuata sugli animali per evitare che una mosca depositi le sue larve fra le pieghe della pelle, causandone infine la morte, considerata una pratica molto dolorosa e a volte pericolosa: «I marchi chiedono sempre più lana mulesing free, ma anche grazie ai 60 milioni investiti a supporto degli allevatori, oggi il mulesing non viene effettuato, oppure si fa con anestetici. La priorità è sempre tutelare il benessere degli animali, anche perché una pecora meno stressata produce una lana migliore. L’essere umano continuerà a vestirsi e, come ci suggeriscono i progetti presentati dai giovani creativi che partecipano ogni anno al nostro Woolmark Prize (la cui prima edizione fu vinta da Yves Saint Laurent e Karl Lagerfeld, nda) – conclude Magri – si punterà sempre più su funzionalità e sostenibilità, per comprare meno ma farlo meglio. E la lana, pur essendo fra le fibre più antiche di cui le persone di sono vestite, potrà essere protagonista anche del futuro del tessile».

Fonte: Il Sole 24 Ore